È ILLEGITTIMA LA PENA DETENTIVA PER I GIORNALISTI CONDANNATI PER DIFFAMAZIONE, SALVO “CASI DI ECCEZIONALE GRAVITÀ”.
L’Ufficio stampa della Corte Costituzionale, preso atto del mancato intervento del Legislatore, ha pubblicato un comunicato dichiarando «incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa».
La Corte costituzionale il 09.06.2020 con ordinanza n. 132/2020 aveva invitato il Legislatore a valutare l’assetto del reato di diffamazione dando un anno di tempo al Parlamento per colmare la lacuna.
Come già accaduto anche in occasione della questione costituzione circa l’articolo 580 c.p. sollevata nell’ambito del processo a carico di Marco Cappato a seguito della morte di DJ Fabo, la politica ha lasciato scadere l’anno concesso dalla Consulta senza intervenire sul bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona.
La Corte Costituzionale ha dunque esaminato le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa e ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 della Legge sulla stampa del 1948, che finora determinava obbligatoriamente «la reclusione da uno a sei anni in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato».
La Consulta ha invece ritenuto conforme al dettato costituzionale l’articolo 595 c.p. laddove prevede «la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa», poiché la norma così formulata consente al giudice di sanzionare con la pena detentiva soltanto «i casi di eccezionale gravità».
La Corte ha tuttavia evidenziato che «resta peraltro attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, già evidenziati nell’ordinanza 132».
Si attende nelle prossime settimane il deposito della sentenza.